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Cosa deriva (oltre al debito) dai “derivati”? Conversazione aperta con Claudio Decastelli, attivista civico a Torino | Trancemedia.eu

LA CURA DAL DEBITO ILLEGITTIMO,
E DAI SUOI SOSTENUTI SOSTENITORI

Cosa deriva (oltre al debito) dai “derivati”? Conversazione aperta con Claudio Decastelli, attivista civico a Torino

La newslettera di Doriella e Renato, il 12 ottobre '24,
riporta il Comunicato Comitato DebiTO e ATTAC
“DEBITO COMUNALE ILLEGITTIMO SU MUTUI E DERIVATI”.
Per chiarirne contesto e prospettive, pubblichiamo
una nostra conversazione con Claudio Decastelli,
da anni impegnato nell'attivismo anti-debito
e in vari comitati civici per la difesa del territorio.
.

redazione Trancemedia.eu con Claudio Decastelli, attivista civico - 16 ottobre 2024

Redazione – Giornaloni e giornalini locali, le scorse settimane, hanno dato evidenza locale alla notizia che il Comune di Torino avrebbe finalmente deciso di contestare in sede giudiziaria la legittimità di debiti che si è addossato subito dopo le olimpiadi del 2006 in cambio di contanti da banche italiane ed estere, con operazioni finanziarie appartenenti alla famigerata categoria “derivati”. Ricordiamo bene che, sin dai tempi di Assemblea21 e prima ancora del volume “Chi comanda Torino” – poi in tempi recenti dal comitato DebiTO, erano state denunciate queste operazioni sia in termini di merito, ovvero di alto rischio che si è puntualmente trasformato in altissimo costo per le finanze della città, sia in termini di metodo, dato che la denuncia riguardava anche le procedure che avevano portato alla sottoscrizione dei contratti. Tutto questo viene oggi trascurato sia dai giornaloni controllati dalla famiglia che affossa l’industria torinese, sia dai giornalini che si suppongono indipendenti o quasi. Vi sentite plagiati o giustamente orgogliosi?

Claudio Decastelli – Sarebbe stato sperabile che l’iniziativa presa anche dal Comune di Torino, dopo che altri enti ben più piccoli ne avevano prese di analoghe, non fosse solo la conseguenza di avvertimenti e proteste arrivati da gruppi e singoli, ma dalla presa di coscienza da parte dell’amministrazione comunale della drammaticità di una situazione che vede Torino pagare ogni anno, con i soldi della città, cifre imponenti a istituti di credito e finanziari a titolo di interessi sulla base di contratti inopportuni e anche illegittimi, mentre non ha risorse per far fronte alle necessità basilari della città e di chi la abita.

Ci auguravamo una presa di coscienza alla quale far conseguire un atto: fare causa a istituti finanziari, che però le amministrazioni pubbliche considerano intoccabili per timore di azioni che incidano negativamente sui rapporti, diretti e indiretti, con il sistema finanziario.

parlare un po’, ma poco

Il fatto che la notizia della causa, trapelata chissà come, sia invece passata sotto traccia, senza comunicazioni dirette del Comune e solo con una veloce ripresa da parte delle redazioni locali dei quotidiani, senza accenni nelle pagine nazionali, fa pensare invece che si tratti un’iniziativa di facciata, un atto “comunicativo” ma “indiretto” perché le sentenze pronunciate altrove in Italia potrebbero far nascere, in capo a chi ha nel proprio bilancio passività dovute ai derivati, una responsabilità contabile nel caso non siano stati presi provvedimenti che ne attestino la legittimità. Insomma, viene ritenuto opportuno non darne comunicazione ufficiale e farne parlare un po’, ma poco, per non creare aspettativa nella cittadinanza né agitazione nel sistema finanziario, che resta un interlocutore non di poco conto per un ente locale.

fatto senza dire, non detto dopo aver fatto, non cercato di recuperare quanto perso

Che da parte dei politici amministratori e dell’informazione ufficiale non venga dato conto di quanto proposto e affermato dai movimenti dal basso, se non costretti o in presenza di fatti di cronaca, possibilmente nera, è purtroppo normale: la partecipazione delle persone non è ritenuta interessante. E d’altronde ammettere che altri avevano ragione significherebbe ammettere il proprio torto, per aver fatto senza dire, per non aver detto dopo aver fatto, per non aver cercato di recuperare quanto perso.

 

Red. – La sottoscrizione dei derivati, che tanti guai ha prodotto, nel caso torinese contiene un’aggravante: l’accordo secondo cui per la risoluzione di eventuali conflitti il foro competente sarebbe quello di Londra, sede ovviamente non vincolata alla giurisdizione italiana. Si è parlato poco o niente di questa minaccia che aleggia sulle possibili iniziative legali oggi finalmente considerate…

CD – Purtroppo non è solo di Torino: la problematica dell’individuazione, nel contratto, del foro di Londra come competente per le controversie, è così per moltissimi derivati sottoscritti in Italia. Il fatto di dover promuovere una causa all’estero, con quel che comporta in termini di legislazione e costi, era stato anche valutato dall’assessora al Bilancio nella risposta data in Consiglio Comunale, nel febbraio 2023, all’interpellanza del cittadino promossa dal comitato DebiTO proprio sull’illegittimità di alcuni contratti, che potrebbero essere precisamente quelli di cui si parla adesso (la risposta dell’assessora si trova qui (apre in nuova scheda dal sito del Comune) e le considerazioni del comitato sono qui (apre in nuova scheda dal blog DebiTO). 

Londra, per tutelarsi…

Nella stesura dei contratti, proposti solitamente dagli istituti finanziari, la scelta del foro di Londra consentiva a questi ultimi di tutelarsi maggiormente dalle possibilità di futuri ricorsi per via giudiziale da parte degli enti sottoscrittori, sia per il tipo di legislazione sia per la complessità dell’azione legale in un paese estero: volontà di tutela che evidentemente prevaleva sulla prudenza e sul pubblico interesse.

 

Red. – Ancor meno si è cercato di far luce sulla storia delle porte girevoli attraverso le quali personaggi della politica locale sono passati dall’amministrazione pubblica alla finanza, proprio negli anni in cui venivano sottoscritti questi gravosi impegni. Una cortina di assoluto silenzio, infine, è stesa da un quarto di secolo sulle larghe intese realizzatesi in una infinità di campi, con risultati discutibili per democrazia, debito, servizi. Nell’evento Debitour, di cui Trancemedia.eu ha filmato e pubblica (v. fondo pagina) i lavori, la questione era ben presente. Ma con l’arrivo del governo Meloni, le infinite discussioni sul campo largo tra PD e 5 Stelle hanno fatto quasi dimenticare i campi totali precedenti: credi che essi siano veramente superati e ininfluenti oggi nella politica locale?

nessun partito ha mai pensato di regolamentare il rapporto tra Comuni e fondazioni bancarie

CD – I rapporti tra la politica che ha gestito le amministrazioni locali torinesi e il sistema finanziario non sono sempre così espliciti come nel passaggio di un sindaco alla presidenza della fondazione bancaria principale co-proprietaria della principale banca italiana, ma esistono comunque sempre e sono pure previsti dalla legislazione: la legge Amato che istituì le fondazioni bancarie e sancì la privatizzazione del sistema bancario nazionale, prevede appunto che gli organi di indirizzo delle fondazioni stesse, proprietarie di importanti quote di istituti ora privati, siano nominati da enti pubblici, tra cui i Comuni. Che poi queste fondazioni, oltre a concorrere alle scelte che le banche internamente fanno, ne ricevano parte dei profitti e che questi vengano usati a sostegno delle attività di competenza anche dei Comuni, non è assolutamente un fatto irrilevante. Per il potere che deriva dall’intervenire nelle scelte di questi organismi privati-pubblici, nessuna amministrazione e nessuna forza politica che aspira ad acquisirne la maggioranza ha voluto e si vuole privare della possibilità di nominare nei consigli direttivi delle fondazioni bancarie persone di fiducia cui dare indicazioni su come indirizzarne il comportamento nelle scelte. Per questo motivo nessun partito ha mai pensato di voler regolamentare in qualche modo il rapporto tra Comuni e fondazioni bancarie, nella fase della scelta dei rappresentanti o delle linee che questi ultimi dovrebbero tenere, specialmente in casi, come quello del Comune di Torino, in cui spetta all’ente, in modo non sancito formalmente, l’indicazione del presidente della fondazione bancaria che è nella proprietà della più grande banca nazionale e che è tra le sue maggiori fonti di finanziamento non pubblico. E questo rapporto non è neanche mai oggetto di discussione politica, come non compare mai nei programmi elettorali dei sindaci e dei partiti, che preferiscono tenersi le mani libere. Tranne magari in quelli di forze politiche antagoniste al sistema economico-finanziario-politico dominante, che però difficilmente avranno mai la possibilità di mettere in pratica i loro intendimenti.

 

Red. – È evidente a chiunque il ruolo super-amministrativo via via assunto dalla Compagnia di San Paolo in oltre un quarto di secolo, quello stesso quarto di secolo in cui in Intesa San Paolo (banca) un ruolo analogo, anche se diversamente statuito, è stato preso da BlackRock. Restando al locale, oggi la Compagnia è diventata la sede dell’antifascismo, la finanziaria della coproduzione cinematografica, l’erogatore di sussidio per servizi pubblici privatizzati e privati di diritto in campi tipicamente pubblici dalla sanità all’università. Di fronte a tanto progresso di stampo anglosassone, i movimenti dal basso che criticano il sistema delle fondazioni bancarie sono considerabili dei conservatori? Oppure sarebbero pronti a discutere nuove modalità di correlazione tra fondazioni e istituzioni pubbliche in modo che si assicurino le coerenze e le priorità volute dall’articolo 42 della Costituzione? In ogni caso, quali sarebbero i primi passi da muovere?

CD – I movimenti dal basso, locali e nazionali, sono stati sempre critici nei confronti del modello che vede le fondazioni bancarie sostituirsi agli enti pubblici come finanziatori di servizi, gestiti dagli enti stessi o direttamente attraverso proprie strutture e propri programmi. Modello di cui non si vede la possibilità di sola revisione, perché questa implicitamente vorrebbe dire accettare la logica della redistribuzione a fini sociali di parte (piccolissima) dei profitti della speculazione finanziaria nazionale e internazionale, quella da cui ricavano le proprie risorse le fondazioni bancarie, che è considerabile la causa di tutte le ingiustizie sociali ed economiche del pianeta, venutesi a creare con la globalizzazione anche dei mercati finanziari e del credito.

il meccanismo costruisce automaticamente il consenso

Il meccanismo messo in piedi attraverso le fondazioni bancarie costruisce automaticamente il consenso nei loro confronti, dato che ovviamente i soggetti percettori dei benefici, che siano servizi o denaro, finiscono per riconoscere la legittimità dell’azione della quale beneficiano: per cui lo scardinamento del sistema, che vede un soggetto privato, la fondazione, redistribuire ‘a fini sociali’ gli utili di una attività speculativa finanziaria di mercato, difficilmente può avvenire dal basso. Qui sta l’importanza degli interessi in gioco, a partire dall’esistenza del sistema creditizio privato e del sistema di potere che questo alimenta.

Sarebbe necessaria una volontà politica forte, nazionale e non solo, che sicuramente al momento nessun partito di governo e opposizione ha. Ciò non toglie che su questo argomento vada fatta opera di informazione per allargare la consapevolezza delle persone e dell’opinione pubblica, in modo che chi si presenta a raccogliere il loro consenso nelle tornate elettorali non possa continuare a far finta di niente.

La questione del debito e dei profitti che questo genera, legittimi o illegittimi dal punto di vista normativo che siano, dovrebbe diventare patrimonio comune popolare: la tematica della riduzione dei profitti al sistema finanziario non può essere lasciata alle sporadiche dichiarazioni retoriche di qualche ministro leghista o alle contrapposizioni di facciata dei suoi avversari in Parlamento.

 

Red. – Quando parli di patrimonio comune popolare ci fai pensare al “fantasma che si aggira per Torino” (e non solo), al partito che non c’è. Pratica resistenza, non rifluisce, ottiene risultati: penso al Meisino e alle alberate di corso Belgio ove i comitati stanno imponendo una revisione o l’auspicabile blocco della realizzazione delle scelleratezze già progettate. Ai TeleRiscaldati in lotta con Iren mentre questa applica al metano prezzi da NLG americano. A chi, anche in nome della salvaguardia dei budget della salute e del contrasto alle concessioni ultra-decennali ai cementificatori, si oppone al trasferimento del Maria Vittoria nel parco della Pellerina. È un sindacalismo territoriale che si espande, o una visione politica che mette testa e gambe? Come ti auguri possa evolvere?

CD – Quelle che citate e altre vertenze specifiche che si muovono in città sono sicuramente il segnale dell’esistenza di una cittadinanza attiva e critica, principalmente sulle questioni del verde urbano, cittadini che non accettano passivamente le scelte dell’amministrazione comunale e degli enti di tutela, ma che si ritrovano quasi sempre, però, a dover ricorrere a strategie difensive nei confronti di decisioni già prese (e operative) da parte degli enti, senza possibilità di intervento preventivo. Poi ci sono altri soggetti, sempre dal basso, che provano a impostare preventive strategie non solo di riduzione del danno ma di proposta per i casi in cui c’è ancora spazio, come i comitati che si occupano dell’acqua pubblica, di debito o di nuovo piano regolatore, tra gli altri, ovviamente trovando sempre difficoltà e ostacoli nell’essere ascoltati. Si tratta di realtà diffuse, non organizzate stabilmente in rete, anche se alcuni passi in quella direzione sono stati fatti. Hanno complessivamente un peso non sufficiente a contrastare le politiche cittadine messe in atto dagli enti pubblici, che siano il Comune o la Regione ma anche la Città Metropolitana. Enti che operano in applicazione delle linee politiche dei partiti che li governano, quelli che, invece, ci sono. E che hanno una visione, anche se non condivisibile, complessiva rispetto alla città e alle sue componenti, che siano territorio, persone, produzione, cultura, sport, servizi sociali o altro.

È difficile che i movimenti dal basso, che si occupano oltretutto solo di alcuni argomenti specifici, possano prevalere su sistemi di governo che richiedono la presenza nelle istituzioni e nei loro organi decisori. Non essendo presenti al loro interno per acquisire informazioni o esercitare il diritto di parola e non avendo nemmeno una rappresentanza indiretta su cui contare.

Sicuramente è importante che esistano, perché attraverso di essi le persone possono esercitare il diritto di parola, di azione e di critica e controllare attivamente l’operato delle istituzioni, ma l’estraneità ai momenti e ai luoghi in cui si formano le decisioni è sicuramente uno svantaggio, perché li costringe a intervenire in seconda battuta e non consente loro di proporre alternative prima che le decisioni vengano prese.

strumenti comuni a tutte

Testa e gambe ogni lotta cittadina le ha già, non necessariamente però si muovono nella stessa direzione e questo le rende complessivamente meno incisive. Forse potrebbe essere utile che esistessero strumenti comuni a tutte, per esempio per fornire informazione, utile a creare consapevolezza e opinione pubblica e così magari anche, in prospettiva, nuovi orientamenti politici complessivi basati anche sulle loro istanze.

 

(Conversazione aperta, continua)

16 Ottobre 2024

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