la lotta per la pace coincide
con la lotta per il pane quotidiano
I migliori auguri per il 2025: due articoli, di Elena Basile e di Domenico Gallo, dal Fatto del 4 e 5 gennaio
La dottrina della porta aperta della Nato
recita con una prepotenza sfrontata
che la Russia non può avere una parola HAS NOT GOT A SAY
contraria all’espansionismo di un’alleanza militare oggi offensiva.
Pace vera è prefigurare un assetto delle relazioni internazionali
volto a reintegrare la Russia nell’Europa, e ristabilire i princìpi di Helsinki 1975.
ELENA BASILE, DOMENICO GALLO sul FATTO QUOTIDIANO Sabato 4 e Domenica 5 Gennaio 2025
Questi due articoli, di una ex ambasciatrice e di un ex giudice cassazionista, non contengono nulla di particolarmente coraggioso, semmai logica razionalità e stimoli. Li percepiamo come discorsi eretici, che Trancemedia.eu è lieta di proporre: contengono informazioni e induzioni preziose (le abbiamo grassettate), nuove per chi è immerso in tv, radio, quotidiani e settimanali allineati con Leyen & Lobby. Al contrario, Basile e Gallo con tono moderato e conservatore realismo, riportano a prima della trance per guardare avanti. Svegliamoci, sta finendo il primo quarto del secolo.
redazione Trancemedia.eu
GLI ALTRI FANNO COME NOI?
ALLORA SONO “TERRORISTI”
articolo di ELENA BASILE
IL FATTO QUOTIDIANO Sabato 4 Gennaio 2025
Confesso: non riesco a essere tollerante. Il dubbio è possibile verso tesi, opinioni, interpretazioni differenti di fatti riconosciuti. Se si è invece indulgenti verso la corruzione dei media, verso la mistificazione e il travisamento degli eventi storici attuali, verso il sacrificio dei popoli per interessi geopolitici dell’impero atlantico, allora si è complici delle menzogne della classe di servizio e dei crimini dell’impero.
Sui giornali che un tempo erano un punto di riferimento della sinistra, incluso il Manifesto, gli stessi giornalisti in grado di denunciare le politiche della Clinton in Siria e la manipolazione di al Queda in funzione anti-Assad oggi utilizzano doppi standard, accusano l’Iran e le sue prigioni senza fare riferimento ai ricatti dell’impero e alle celle altrettanto crudeli, alle condanne a morte dell’America profonda. Una giovane giornalista, Cecilia Sala, mandata allo sbaraglio e non protetta sufficientemente dal suo giornale, è stata arrestata dall’Iran come pedina di scambio per un altro arresto, ugualmente criminale, nei confronti di un imprenditore che vendeva tecnologia a Teheran. I pasdaràn, recita Washington, grazie alla tecnologia dell’imprenditore avrebbero ucciso soldati statunitensi. Ci sarebbe da ridere. I manager di Leonardo e delle tante imprese occidentali che vendono armi nei teatri di guerra di quante morti sono allora responsabili? I ministri degli Esteri europei hanno recentemente confermato i rifornimenti di armi al governo criminale e terrorista di Israele, artefice dell’orrore innominabile di Gaza, coperto dalla classe di servizio occidentale quale disastro naturale, di cui sarebbero responsabili i terroristi palestinesi.
In più di cento articoli su questa testata [il Fatto Quotidiano – ndr] abbiamo cercato di demistificare le menzogne dei diplomatici e degli analisti che continuano a travisare la realtà, incapaci di rimorsi di fronte alle carneficine in corso. Imperturbabile l’accademia e i finti istituti di ricerca, finanziati da Washington, ci descrivono una partita a calcio tra Occidente e Russia, nella quale Putin avrebbe segnato alcuni goal in Ucraina e in Georgia, nel suo vicinato, ma persino in Romania. Sono ormai estinti i principi democratici, l’auto-determinazione dei popoli e la non ingerenza negli affari interni.
L’Europa può finanziare insieme agli Stati Uniti rivoluzioni colorate e negare il risultato di elezioni la cui regolarità è stata riconosciuta dall’Osce, che nell’ignoranza imperante sui media viene ancora confusa con l’Ocse. Tutto fa gioco e i miei ex colleghi sulla stampa si divertono ad accusare Bruxelles di mollezza perché nella guerra tra sfere di influenza ai confini con Mosca sta perdendo militarmente in Ucraina e politicamente nell’Europa dell’Est. Il ricatto nei confronti di Ungheria, Slovacchia, Romania deve farsi più duro.
La rivolta anticostituzionale in Georgia è guidata dalla presidente di nazionalità francese: ex ambasciatrice dell’Eliseo a Tiblisi, è divenuta ministro degli Esteri e poi presidente della Repubblica. Questa volta bisogna arretrare, ma la destabilizzazione della società georgiana continuerà e come in Ucraina il futuro preserva forse un colpo di Stato, quando le condizioni lo permetteranno.
Cosa ci fa il nostro petrolio sotto quella sabbia? La battuta rende bene l’ottica della nazione indispensabile secondo la quale non esiste risorsa mineraria in Medio Oriente che non possa essere rubata come per anni è accaduto in Siria, poi travolta dalla violenza dei tagliagole. La dottrina della porta aperta della Nato recita con una prepotenza sfrontata che la Russia non può avere una parola (has not got a say) contraria all’espansionismo di un’alleanza militare oggi offensiva. L’Europa baltica e scandinava, l’asse Londra-Kiev-Varsavia, interamente asservita, non batte ciglio.
Svegliatevi! Verrebbe voglia di gridare. Immergetevi nell’inferno di Gaza perché coloro che oggi sacrificano i palestinesi e gli ucraini non avranno remore nei vostri confronti. La morte della liberal-democrazia e delle socialdemocrazie non turba i sogni dei progressisti. Temono le destre antisistema che del trionfo del capitalismo finanziario, della hybris della società dell’1%, sono in grado di creare una mitologia fiabesca (vedi Meloni che cita Tolkien), ma non si rendono conto che sono loro, il centrosinistra, i verdi, i liberali euroatlantici ad avere distrutto quel tessuto sociale base della democrazia. Gli intellettuali pompati dalla pseudo sinistra, che condannano la Meloni, ma si guardano bene dal criticare le guerre per procura contro la Russia e in Medio Oriente, sono l’emblema della decadenza e del tradimento dell’Europa. È una lotta impari. Eppure la speranza nell’anno entrante non può che assumere lo stesso tragico significato: in nome delle vittime appelliamoci alla verità, senza false indulgenze perché questo è il tempo della denuncia e della giustizia.
Elena Basile
LA PACE “GIUSTA”? NO, “VERA”:
WELFARE CONTRO WARFARE
articolo di DOMENICO GALLO
IL FATTO QUOTIDIANO Domenica 5 Gennaio 2025
L’anno appena concluso è stato sul piano internazionale il più violento e sanguinoso dal 1945. Sul fronte russo-ucraino si sono susseguiti i combattimenti, senza neanche un giorno di tregua, alimentati da una continua escalation e dal superamento di ogni linea rossa. Nell ’anno nuovo necessariamente dovranno venire a galla i nodi rimasti insoluti per tutto il 2024. I fatti sono duri a morire, possono essere mascherati a lungo ma non per sempre. Dopo quasi tre anni di menzogne sul conflitto russo-ucraino; dopo la declinazione a reti unificate del mantra della guerra di aggressione “non provocata”, frutto della follia imperialista di Putin, pronto a scagliare le sue armate contro l’intera Europa se non fermato sulle sponde del Dnepr; dopo la sublimazione del mito della “vittoria” dell’Ucraina come unica soluzione possibile del conflitto, contro ogni principio di realtà; dopo che una insensata guerra di attrito ha provocato sui due fronti un milione di morti e feriti (secondo le rilevazioni del Wall Street Journal); dopo quasi tre anni di inutili massacri, alla fine la verità comincia a emergere fra i fumi della grande menzogna.
Qualche giorno fa lo stesso presidente ucraino Zelensky (su Le Parisien) ha dovuto riconoscere che l’Ucraina non ha le forze per ribaltare le sorti del conflitto. La debolezza dell’Ucraina non deriva dallo scarso sostegno finanziario e militare della Nato, come sostiene impudentemente Paolo Mieli sul Corriere della sera e a Radio 24, ma dal venir meno del fattore umano: 800 mila renitenti alla leva (secondo la stima del presidente della commissione Affari economici del Parlamento ucraino, Dmytro Natalukha, riferito al Financial Times) sono un chiaro segnale dell’indisponibilità dei giovani a farsi mandare al massacro per riempire nuovi cimiteri di guerra. Dovrebbe essere chiaro che la guerra non può continuare e ben presto dovranno aprirsi dei negoziati.
La necessità di una trattativa, da un lato, e l’insostenibilità umana ed etica, dall’altro, sono oggi conclamate. Messi di fronte alla realtà, i vertici Ue, Von der Leyen, Kallas e il segretario generale della Nato Rutte, fanno finta di non vedere, continuano a escludere il negoziato e insistono per il prolungamento della guerra, mostrandosi più bellicosi del presidente eletto Usa, Donald Trump. È difficile capire se in loro prevalga l’irresponsabilità o l’arroganza. Quel che è certo è che i vertici Ue e i leader dei principali Paesi europei dovranno essere chiamati a rendere conto delle scelte disastrose che hanno compiuto arruolando l’Europa nella guerra contro la Russia combattuta a prezzo del sangue ucraino, con gli esiti ingloriosi che sono sotto agli occhi di tutti.
Anche il governo italiano dovrà rendere conto di essersi accodato alla scelta atlantista di prolungare la guerra all’infinito. La prima occasione dovrà essere la contestazione del decreto legge n. 200/2024, che proroga fino al 31 dicembre l’autorizzazione alla cessione di mezzi materiali ed equipaggiamenti militari in favore del governo ucraino.
Una intransigente opposizione a ogni ulteriore invio di armi lì servirà anche a sciogliere le ambiguità di quelle forze politiche, come il Pd, che in Italia invocano la pace con marce e manifestazioni pubbliche e in Europa votano per il partito della guerra. Se il cessate il fuoco è la premessa di tutto, la società civile e le forze politiche progressiste (a cominciare da 5Stelle e Avs) devono impegnarsi per evitare la soluzione coreana, cioè una tregua che non porti alla pace, ma alla continuazione della guerra con altri mezzi, ovvero le sanzioni, la corsa al riarmo e la perpetuazione della figura del nemico.
Questo è il momento di battersi non per una “pace giusta”, ma per una “pace vera”. Cioè di prefigurare un assetto delle relazioni internazionali volto a reintegrare la Russia nell’Europa, ponendo fine alle ostilità e smantellando la nuova cortina di ferro creata dal fiume di sangue versato in questa assurda guerra fratricida.
È questo il momento di impegnarsi perché il negoziato di pace prossimo venturo ripristini i principi dell’Atto finale della Conferenza di Helsinki (1975) e ristabilisca il principio della sicurezza collettiva fondata sulla riduzione degli armamenti anziché sulla sfida del riarmo. La chiusura ucraina del flusso del gas russo sta già provocando un ulteriore balzo dei costi dell’energia, mortificando ancora di più l’economia europea e i bilanci della famiglie. Per questo il tema della battaglia politica nel 2025, che dovrà animare tutte le forze progressiste e i sindacati, sarà di invertire il corso di una politica orientata al passaggio dal welfare a warfare, con l’obiettivo di stornare le risorse dal sistema di guerra ai bisogni sociali (istruzione, sanità, ambiente). Mai come in questa situazione la lotta per la pace coincide con la lotta per il nostro pane quotidiano.
Domenico Gallo
scacciapensieri
5 Gennaio 2025
